Su e giù per gli sterrati, non mancano tanti chilometri ma il percorso si complica un po’.
Passo nelle strade bianche della via Francigena per evitare le auto ma come un buon pellegrino trovo ancora la mulattiera sbarrata, i rovi e gli ulivi bruciati.
Quasi un monito: la strada non è ancora finita… Scendo, cammino, spingo, impreco, libero il sentiero dai rovi e dalle piante cadute e poi cerco pian piano di ritrovare un percorso sulla costa.
In questi giorni ho imparato ad apprezzare la vista mare ed ho capito che è la condizione che più mi piace in bicicletta, con pedalata in compagnia delle spiagge lì di fianco.
Gli ultimi chilometri prima di Santa Maria di Leuca rallento. Ormai ci sono e come se volessi gustare appieno le sensazioni di essere lì lì per arrivare. Come se non volessi far finire il viaggio.
Mi sono ripetuto così tante volte che senza perseveranza non sarei arrivato, che ora che sto arrivando non mi sembra vero. La strada finirà lì al Faro.
Mi sono immaginato così tanto in questo posto raggiunto con la bici che sembra quasi un deja vu, e quasi non mi sembra il momento di arrivarci .
Respiro profondo, attraverso il piazzalone del faro e mi inchiodo davanti al piccolo monumento in marmo con l’insegna “ De finibus terrae”.
Bevo, cammino, torno indietro, non sono molto lucido. Sono madido, chiedo foto, mi faccio foto. C’è talmente luce che non capisco bene che cosa io stia guardando e inquadrando col telefono, ma pazienza.
Guardo il mare lì sotto che mi ha tenuto compagnia da Venezia a qui.
Anche la bici mi ha tenuto compagnia, affidabile e discreta. La mia Matcha è stata davvero un mezzo, ma non solo di trasporto… Mi ha riconnesso con il viaggio, mi ha dato la convinzione di potercela fare, mi ha assecondato, supportato e anche un po’ sopportato quando ripetevo il mio mantra “non ci arrivi se non ci credi.
È stato un viaggio attraverso spazi e persone.
Sdraiato nell’unico giardinetto all’ ombra vicino al faro (e ai bagni), sonnecchio e penso a ruota libera .
Girare pian piano in bici ti fa riappropriare degli spazi e gustare i posti e i dialoghi con le persone.
Vedi l’uva che matura, da Conegliano a Otranto ha cambiato colore, ti infili nei vicoli e nel retro delle cattedrali, arrivi fino alle banchine del porto.
Viaggiare lento aiuta a ritrovare i tempi. Devo solo pedalare e dosare le forze e i chilometri per tutta la giornata. Mi posso fermare come voglio quando e quanto voglio.
Aiuta a riconsiderare e soppesare le varie necessità: è sufficiente bere, bere tanto, a volte non serve quasi neanche mangiare. C’è più stanchezza e voglia di doccia e di letto che di bistecca o pastasciutta, almeno con questo caldo.
Aiuta a incontrare le persone: è facile fermarsi a parlare e scherzare, e lasciare che la gente si racconti. E’ bello scoprire che non siamo un popolo poi così cafone, egoista e sordo come a volte sembra. Ho trovato gente allegra, cordiale, simpatica e disponibile più del previsto.
E dalla bici puoi ascoltare bene: la gente, ma anche la catena che gira, gli uccelli o i clacson dei camion.
Ho applicato la perseveranza, forse la resilienza, che però è un termine troppo inflazionato, che è meglio che io lasci a chi sa usarlo correttamente.
Ho completato il piano, il progetto che avevo in testa, nei tempi che avevo a disposizione. Sono un Trisabile felice.
Qui ho la sensazione di aver completato un percorso, di aver raggiunto un obiettivo per me importante, ma se allargo la vista, tutto è insignificante per il resto delll’universo.
Indugio ancora un po’ nella piazza: sono le 13 e ho il bus per Bologna tre ore dopo. C’è ancora salita per arrivare alla fermata ed è come se il viaggio continuasse.
Il bello del viaggio, come dicono sta nel percorso che fai.
Infatti prosegue come se fosse un nuovo inizio. Sudo, fatico ancora una mezz’oretta, arrivo in anticipo alla fermata del bus: è troppo importante.
Piego la bici, la rivesto con il sacco dell’immondizia. La travesto da bagaglio normale e mi regalo l’ultimo caffè leccese, inimitabile altrove.
A Santa Maria di Leuca. Fin dove si può. Ognuno come può :))